Esiste un mercato da 11 miliardi di dollari in continua espansione che vede protagoniste, finora, alcune aziende vinicole di grandi e medie dimensioni in tutto il mondo. E’ quello delle cosiddette bevande “No Alcol” e “Low Alcol”. Al Vinitaly appena concluso è stato l’argomento caldo che ha tenuto banco per tutti i quattro giorni della fiera. Ci è sembrato giusto parlarne anche in queste pagine. Per brevità le chiamiamo bevande “No-Lo” e per sintesi descrittiva li chiamiamo anche “Vini NoLo” anche se sappiamo benissimo che in Italia la legislazione attuale non consente di definirli “vini”. A questo proposito ricordiamo che esistono almeno due definizioni di vino.
Definizione giuridica:
Secondo il Regolamento UE 491/2009 all’articolo XI ter, punto 1:
“Si definisce vino il prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione alcolica totale o parziale di uve fresche, pigiate o no, o di mosti di uve”.
In parole semplici, per essere considerato vino dalla legge, la bevanda deve derivare unicamente dalla fermentazione alcolica di uve fresche (o leggermente appassite), senza aggiunte di alcol, zuccheri o altri elementi estranei. Il titolo alcolometrico minimo deve essere di almeno 8,5% vol., con eccezioni per alcune zone dove può essere anche inferiore.
Definizione generale:
In un senso più ampio, il vino è una bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del succo d’uva. Questo processo trasforma gli zuccheri naturali dell’uva in alcol e produce una vasta gamma di sapori e aromi. La vinificazione può essere molto variabile, influenzando il colore, il gusto e il corpo del vino finale.
In sintesi, la definizione di vino comprende sia l’aspetto normativo sia quello più esteso che sancisce la complessità e la varietà di una bevanda che muove in tutto il mondo parecchi miliardi di euro e dollari. Basti pensare che solo per poter assaggiare alcune bottiglie fra le più blasonate, molti di noi farebbero carte false.
Ma allora perché si sta espandendo un mercato, quello dei “No-Lo”, parallelo a quello già noto dei vini “tradizionali”? Semplicemente perché è una legge di mercato: se aumenta la richiesta di alcune fasce di consumatori (per esempio le giovani generazioni), in maniera naturale aumenta anche l’offerta da parte delle aziende vitivinicole piccole o grandi che siano. Come vedremo più avanti, sono gli “attori” principali del mondo del vino che spingono per ampliare l’intera filiera dei “No-Lo” nel nostro Paese senza dover andare all’estero per “dealcolare” un prodotto che ha nell’alcol il suo stabilizzatore naturale.
La situazione mondiale
Qual è lo stato dell’arte della produzione mondiale delle bevande dealcolate?
Fatturato:
- 11 miliardi di dollari: il valore del mercato globale dei vini low e no alcol nel 2022, secondo IWSR Drinks Market Analysis. Solo negli USA il mercato vale un miliardo di dollari
- Crescita del 7%: rispetto al 2018, con un trend in costante ascesa.
I 10 mercati principali (in ordine puramente alfabetico): Australia, Brasile, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito, Spagna, Sudafrica, Stati Uniti. Da notare che non figura la Cina, paese che deve ancora “digerire” i vini cosiddetti tradizionali in arrivo dall’Europa e che solo di recente è diventato anch’esso un produttore.
Sono almeno quattro i fattori che stanno trainando la crescita costante del settore “No-Lo”:
Maggiore attenzione alla salute: i consumatori cercano alternative più salutari e con minor contenuto calorico.
Moderazione alcolica: trend in crescita verso un consumo moderato di alcol o l’astensione.
Nuove occasioni di consumo: i vini low e no alcol si adattano a momenti e contesti sociali dove il consumo di alcol è limitato (vedi aggregazione di giovani, donne in gravidanza, divieti religiosi o abitudini etniche, guida di veicoli, ecc.).
Innovazione di prodotto: le cantine investono in ricerca e sviluppo per migliorare la qualità e la varietà dei vini low e no alcol.
Il settore è ancora molto fluido tanto che la definizione e la normativa sui vini low e no alcol possono variare da Paese a Paese.
Esistono numerose aziende in tutto il mondo che si stanno specializzando nella produzione di vini low alcol e no alcol, con un panorama in continua evoluzione. Fra queste ne citiamo solo alcune fra le più grandi: la californiana E. & J. Gallo che propone una linea di vini low alcol chiamata “Barefoot Refresh” e vini no alcol sotto il marchio “Arbor Mist”; la francese Gérard Bertrand che produce una gamma di vini low alcol e no alcol chiamata “N°4” a circa 15 euo a bottiglia; la Trinchero Family Wines, altra azienda californiana con la sua linea low alcol “Sugar Cellars”; la Fresno State University, che produce vini low alcol e no alcol a marchio “Fresno State Wines” per scopi didattici e di ricerca; la cooperativa spagnola Ribera del Duero con i suoi no alcol a marchio “Le Naturel”.
Ma non mancano anche piccole e medie cantine: Ariel Wines (California), Giesen Wines (Nuova Zelanda) con la sua linea di vini low alcol, “The Nine Sauvignon Blanc”, Martha’s Vineyard (Massachusetts – USA), St. Agil Vineyards (Australia), Legutio Wines (Spagna).
I vini no alcol, più dei vini low alcol, costano leggermente di più dei vini tradizionali, proprio perché i produttori devono ammortizzare i costi maggiori imposti dalla filiera.
La situazione in Italia
Di certo c’è che la produzione dei “No-Lo” in Italia è un tema complesso che si trova a cavallo tra innovazione e ostacoli normativi. E’ innegabile l’esistenza, anche da noi, di una crescente domanda da parte dei consumatori per questo tipo di prodotti. Le cantine italiane stanno rispondendo a questo tipo di richiesta dal mercato con innovazioni tecnologiche che permettono di produrre vini low alcol e no alcol di alta qualità, preservando le caratteristiche organolettiche del vino.
La nuova Politica Agricola Comune (PAC) 2023-2027 dell’Unione Europea ha dato il via libera alla produzione e commercializzazione di vino parzialmente dealcolato nell’Unione Europea, con la possibilità di utilizzare il termine “vino” in etichetta.
La legislazione italiana in materia di vino, però, è ancora restrittiva e non consente di definire i vini a basso contenuto alcolico e analcolici come “vino”.
Questo crea un paradosso per cui la produzione è ammessa a livello europeo, ma la denominazione “vino” è preclusa a livello nazionale. Il Ministero dell’Agricoltura, al momento, non sembra intenzionato a modificare le attuali regole nazionali perché intende “puntare sull’innalzamento della qualità dei vini prodotti”.
Secondo la ricerca presentata al Vinitaly appena conclusasi da Unione Italiana Vini (UIV) e SWG, nel nostro Paese il 36% dei consumatori è interessato a consumare bevande dealcolate.
Perciò l’Uiv sollecita da tempo un intervento normativo per disciplinare la produzione di vini low alcol e no alcol in Italia, al fine di valorizzare il lavoro delle cantine e tutelare i consumatori.
Secondo Swg, la quota di attenzione verso i vini dealcolati (21%) è più alta nelle fasce più giovani (28% da 18 a 34 anni), il target a maggior contrazione dei consumi di vino che nel 79% dei casi dichiara “importante” se non “molto importante” o “fondamentale” poter ridurre i problemi legati all’abuso di alcol mettendo a disposizione dei consumatori prodotti a zero o bassa gradazione.
Da non trascurare anche un altro dato. Secondo il presidente di Agivi, Marzia Varvaglione: “La generazione Z sta dimostrando grande attenzione verso una tipologia in grado di rispondere a un pubblico sober curious sempre più numeroso, negli Stati Uniti e nel mondo. L’Italia deve essere in grado di capire prima di tutto sul piano culturale che un prodotto non sostituisce l’altro e insistere su una sperimentazione che può riservare risultati molto interessanti”.
Secondo il focus dell’Osservatorio Uiv, il calo dei consumi di vino tricolore negli Usa (-13% le importazioni a volume nel 2023) è dettato in primis dall’onda cosiddetta salutista delle giovani generazioni, oltre che proprio dalla forte competizione di nuove bevande low alcohol e da una questione demografica che vede la popolazione di bianchi diminuire in favore di altre etnie, a partire dagli ispanici, culturalmente meno orientati ai consumi tradizionali di vino.
Questa è una lista sicuramente incompleta (in continuo aggiornamento) di cantine italiane che producono vini low alcol e no alcol: Zonin1821 con la linea “1821 ZERO”, Hofstatter con la linea “Hofstatter Null”, Schenk con la linea “Senza Alcol”, e poi Argea, Varvaglione, Mionetto, Bosca e Doppio Passo.
In definitiva, chi ha investito capitali nel settore vitivinicolo considera la produzione di vini low alcol e no alcol un segmento emergente nel panorama vitivinicolo italiano, con un potenziale significativo di crescita nei prossimi anni. L’evoluzione del quadro normativo e il continuo miglioramento delle tecniche produttive saranno fattori chiave per il successo di questa fetta di mercato sempre più consistente che incontra le richieste dei consumatori.
I mercati mondiali sono in continua, inesorabile evoluzione. Perciò possiamo immaginare un futuro ormai prossimo con due possibili scenari:
Scenario A: i vini tradizionali e i cosiddetti “vini No-Lo” sono destinati a coesistere, allargando la platea dei consumatori e portando nuove risorse alle aziende vinicole, le quali potranno investirle nella ricerca e nel miglioramento della produzione di vini alcolici e di alta qualità. I nuovi consumatori, attratti inizialmente dai “No-Lo”, si convinceranno prima o poi a provare anche i vini veri.
Scenario B: i cosiddetti vini “no-Lo” rischiano di erodere il mercato dei vini tradizionali, facendo leva sul mutamento dei gusti delle nuove generazioni e sulle spinte verso la moderazione alcolica.
Resta solo da versarsi un buon rosso nel calice e attendere l’evolversi degli eventi.